Generic viagra sildenafil 100mg ukDrugstore free shipping worldwideBuy phenergan online nzCialis ohne rezept in hollandCytotec online cheapApcalis 5mgViagra pills for sale in ukIs viagra generic in canadaPhenergan dosage for a child LE CINQUE SARACINESCHE

September 10th, 2016 by Pabuda

Il nostro balcone costituisce un punto d’osservazione particolarmente comodo, oserei dire “privilegiato”, su un’infilata di cinque saracinesche che se ne stanno su uno dei due lati corti della piazza alberata. Buy generic inderalWhere can i buy prednisone in canadaPharmacy online australia discount codeSuperdosagem de cialisGeneric pharmacy usaBuy prednisolone 5mg onlineIs lexapro ssri or snriPhenergan with codeine australia saracinescaOvviamente, quando le saracinesche non sono abbassate, si può godere d’una vista molto più interessante: cinque vetrine quasi trasparenti, tenute pulite e luccicanti e qualche scorcio dell’interno. Ma quest’estate sono rimaste sempre chiuse. Ci si sarebbe potuti insospettire, ma non lo si è fatto: i mesi estivi, qui a Milano, corrispondono a un periodo di ferie generalizzate e la maggior parte della gente che solitamente tira sue e giù le saracinesche se ne va in vacanza: chi a Riccione, chi a Gallipoli, chi a Dakha o a Craiova. Fino all’altro giorno erano sormontate da cinque insegne blu con su scritto in bianco (ma un bianco che la sera e la notte pareva fosforescente, come certe madonnine di plastica con dentro – forse – un po’ d’acqua di Lourdes)… con su scritto, dicevo: “Ristorante – pizzeria – Sunshine – specialità toscane – carne e pesce”.
Ieri, o l’altro, ieri, la Gio – rientrando dal balcone, dopo una fumatina solitaria – m’ha chiamato quasi urlando: “Vieni a vedere ch’è successo!”. Abbastanza allarmato (presagendo qualche preoccupante fatto nuovo accaduto su uno dei due lati corti della piazza), mi sono fiondato sulla mia poltroncina da balcone e non ho potuto che constatare, deglutendo più volte per ricacciare indietro l’ansia, la novità: le cinque saracinesche erano ancora chiuse ma le ben note insegne blu erano state sostituite da altrettante di colore arancione. Sulla plastica color Olanda, grazie all’abbondanza di spazio, vi avevano potuto comporre, in caratteri neri, quasi un romanzo: “Asian fusion – restaurant – take away – self-service – cucina asiatica”. È stato un discreto shock. Non che io, né tantomeno la Gio (figuriamoci!) s’abbia qualche avversione per i popoli dell’Asia o dell’Estremo Oriente. Anzi: noi… i cittadini della Cina Popolare, della Mongolia, dello Sri Lanka, del Giappone e di Taiwan, del Vietnam, delle Filippine, dell’India, del Bangladesh, del Pakistan, del Laos, della Cambogia e delle due Coree, di Hong Kong e Macao, della Thailandia e di Nyanmar, della Malesia, Borneo e Brunei (più qualsiasi isoletta, enclave, steppa o penisola mi sia sfuggita in questo affrettato riepilogo) li abbracceremmo tutti, uno a uno. Basta trovare il tempo. Il fatto è che io, personalmente, le gastronomie asiatiche non le reggo. In blocco.
Ma il fatto grave non è questo. Tanto, che sia toscano o giapponese, io a mangiar fuori non ci vado quasi mai. Il guaio è che, osservando dal nostro balcone l’andazzo (minimo), intorno a quel “Sunshine – specialità toscane – bla… bla” avevamo ricamato (soprattutto io, ma pure la Gio non s’era tirata indietro) delle storie mica da ridere! No, no: delle storie da brivido, roba da cagarsi sotto. Il fatto che il Sunshine – prima dell’ultima serrata estiva, intendo – risultasse quasi sempre vuoto o semi-vuoto e chiudesse regolarmente i battenti durante i fine settimana, come se lì non gliene fottesse un accidenti di spennare qualche avventore affamato, ci aveva dato parecchio da pensare. Da fantasticare. O, più precisamente, da speculare. Quel locale aveva tutta l’aria di essere una copertura di qualcos’altro. Qualcosa di molto diverso dalle ciotolone di ribollita, dalle fiorentine o dal caciucco. Dal nostro balcone si sprecavano ipotesi: riciclaggio di denaro sporco? Una “lavanderia” mascherata per i proventi di tremende attività criminali? O, addirittura, il luogo di ritrovo ben mimetizzato d’una segretissima super-‘ndrina a capo di tutti i ‘ndranghetisti dell’area milanese?
Spararle grosse, lì dal balcone, non costava niente. Anzi! Per qualche mese è stato un bel passatempo. Come altri fan le parole crociate o l’uncinetto. A un certo punto, al Pabuda, la faccenda è parsa un ottimo spunto per imbastirci su un vero e proprio romanzo.
Non è ancora stato scritto. Ma ne esiste un articolato scheletro: in una dozzina di cartelle ripiene di file con appunti e bozze e nel mezzo cervello del matto. C’è un sanguinoso attentato di fronte alle cinque vetrine. Avviene in un preciso e delicato momento che non è il caso di star qui a precisare. C’è un’indagine, anzi due: una ufficiale e una ufficiosa. Quest’ultima è condotta da un ex sbirro in pensione (Pabuda, su di lui ne sa – o se n’è inventate – di cotte e di crude, ma se ne parlerà a tempo debito).
Fatto sta che, per alimentare il passatempo e per dare corpo alle sempre più complesse diramazioni, ai presupposti, agli antefatti e alle storie collaterali della vicenda principale lo svitato Pabuda s’è fatto una piccola biblioteca e un affastellato archivio su la ‘ndrangheta e sulle mafie baltiche ma anche su certi misteri degli anni Settanta che potrebbero costituire il background professionale del vecchio sbirro in pensione.
E ora… cosa ci dovremo stare a inventare con una cucina di fusione asiatica color Olanda da portar via?!

VISION 59

September 2nd, 2016 by Pabuda

VISION 59 Osservando Lupeni (Valle dello Jiu,  Romania)

UM… QUE!

August 31st, 2016 by Pabuda

UM... QUE

STORIE COMPLICATE

August 19th, 2016 by Pabuda

STORIE COMPLICATE

ANDATI!

August 13th, 2016 by Pabuda

howardena pindell -memory-future 1980-1981(da: Un Mese al Balcone /03)

Sarà stato un mesetto fa, ormai. Forse più. E non eravamo al balcone: la “sigaretta della staffa” ce l’eravamo già fumata da un po’. Ce ne stavamo sdraiati sul letto in attesa del momento buono per arrenderci al sonno. Ciascuno leggeva il proprio romanzo, zitti. Nella stanza il silenzio era quasi totale: si poteva percepire appena quel flebilissimo ronzio che emettono i cervelli degli heavy reader quando macinano le storie che leggono: figurandosele, riempiendo i vuoti che (grazie al cielo!) gli scrittori lasciano tra una scena e l’altra, correggendo virtualmente e in assoluto segreto qualche passaggio della stesura che non li soddisfa del tutto o – più prosaicamente – cercando di inquadrare e rimettere a fuoco un personaggio, un tizio, accantonato centocinquanta pagine fa e inspiegabilmente tornato alla ribalta. In questi casi al lettore o alla lettrice viene la tentazione di gridare, per esempio: “Ma chi cazzo è ‘sto Alexis Cole!?”. Invece, per buona educazione, lo pensa soltanto. Di fatti, a parte quel ronzio che dicevo (che poi, essendo noi una coppia di fanatici della lettura, eran due ronzii… ma il risultato è uguale: pressoché zero) regnava il silenzio nella nostra camera da letto. Improvvisamente, lei ha mollato il volume che teneva tra le mani, lasciando che rimbalzasse sulle lenzuola e si chiudesse con un piccolo “flap!”, senza preoccuparsi, così facendo, di perdere il segno. E ha gridato (o, almeno, a me è parso gridasse): “Se ne sono andati!!”. Belin, mi son preso un colpo! Prima di lasciarmi reagire verbalmente, il mio fantasioso cervello ha impiegato qualche millesimo di secondo per ipotizzare, lo giuro: “I tedeschi? Gli americani? I russi?”. Dopo di che ho sentito la mia voce: gridava: “Ma chi? Chi se n’è andato!?!?”. La risposta della mia compagna non mi ha sorpreso del tutto ma deve avermi colpito in qualche punto particolarmente sensibile della poltiglia cerebrale. Tanto da rimanere impressa in una mia zona neuronale che ho piuttosto sviluppata e che risulta preposta a rimuginare i problemi irrisolti e a elaborare i rimpianti. In breve, la risposta fu: “I rondoni! Se ne sono andati! Sono andati via!”. In effetti, da qualche giorno non li avevo più sentiti neanche io. Dopo aver convenuto che – pur trattandosi d’un evento naturale che si ripropone ciclicamente a ogni inizio estate – era un fatto triste e una partenza che ci avrebbe fatto patire un po’ di solitudine supplementare, soprattutto in quel buchetto temporale che rimane tra l’aperitivo e la cena, ho cercato di buttarla su un piano scientifico/nozionistico – per sincera curiosità onnivora e per provare a raffreddare un poco il bruciore emozionale – chiedendo alla mia bella ornitologa dilettante (però erpetologa di formazione): “Ma dov’è che sono andati? Dov’è che migrano? Sì, d’accordo in Africa, ma in quali paesi di preciso? E perché? E per quanto tempo riescono volare senza fare una sosta? E, scusa, se vanno laggiù tutti gli anni, se ci tornano sempre, vorrà dire che sono posti dove stanno meglio che a Milano, no?”. A ogni modo, dopo quella sera, tutte le sere, di solito tra l’aperitivo e la cena – ma anche agli orari sbagliati –, se ho un po’ di tempo, mi siedo al mio posto d’osservazione sul balcone e mi dedico a scrutare il cielo sopra la piazza, percorrendo con lo sguardo le traiettorie lasciate vuote: controllo bene e poi segno sul mio registro tutti i nomi degli assenti.

(L’immagine, ancora una volta, è tratta da un quadro – Memory/Future 1980/81 – di Howardena Pindell)

WHAT IS THIS THING CALLED LOVE?

August 9th, 2016 by Pabuda

WHAT IS THIS THING CALLED LOVE-

STATISTI

August 8th, 2016 by Pabuda

STATISTI

I PICCOLI RUMORI

August 8th, 2016 by Pabuda

(da: Un Mese al Balcone / 02)

Howardena Pindell - Flight & Fields
Volendo, dal balcone, si possono fare anche degli esercizi di ascolto. Si sentono le cose più varie standosene sul balcone in diversi orari del giorno e della notte: loggione esclusivo ben proteso sul teatro permanente della piazza con giardini, alberi e strade affluenti a scorrimento discretamente veloce. Ai motori, ai freni, ai pneumatici e agli scappamenti non val la pena far caso: fan rumori stupidi e troppo prevedibili. Anche gli uccellini non brillano per fantasia. Abbastanza notevoli, invece, son le conversazioni – sovente gli scazzi – che offre all’attenzione di chi vuol sentire un affiatato gruppetto di sbandati sempre accampato intorno, sopra e sotto la panchina posta nei giardini perfettamente a perpendicolo rispetto al nostro civico. Son storie intricate e piene di pathos. L’intensità dell’interpretazione varia – mi sembra – a seconda del tasso alcolico dei partecipanti. Trovo quasi sempre lo spettacolo piuttosto avvincente. Solo che è difficile riannodare il filo tra una puntata e l’altra. Tocca lavorare di fantasia. La seccatura poi è che spesso, per il volume eccessivo, coprono le voci di altra gente in sosta sulle panchine circostanti: anche lì si chiacchera, si discute, si scambiano informazioni. Ma, forse per timidezza, praticamente a mezza voce. Così, va a finire che dal balcone non se ne ricava quasi niente. Però nell’attività di ascolto risultano molto più suggestivi certi piccoli rumori, non necessariamente gradevoli. Bisogna essere attenti per notarli e scoprirne la fonte ma spesso trasmettono informazioni e potenziali “piste” davvero sorprendenti da esplorare. Quando si è proprio in vena ci si può ricamare sopra anche qualche inedita riflessione, per lo più di natura sociologica, esistenziale o antropologica. Roba terra-terra, a ogni modo. Io, di solito, lascio subito perdere. Per esempio, poco fa notavo la differenza tra il rumore un po’ trotterellante che producono le rotelle d’un trolley da viaggio trascinato verso la stazione ferroviaria e in direzione di chissà quale economica vacanza e quello cigolante, metallico e singhiozzante prodotto dalle due ruote storte d’un carretto sgangherato con su una grossa cassetta di qualche merce, proveniente dal mercato e fissata con un robusto elastico giallo. Chi è provvisto d’un orecchio particolarmente attento e addestrato potrebbe anche dedurre da questi suoni, ugualmente molesti ma diversissimi, il colore della pelle di chi trascina. Io non arrivo ancora a tanto. E, oltretutto, quelli che fanno troppo caso al colore della pelle mi stanno sul cazzo.

(L’immagine è tratta da un quadro di Howardena Pindell, pittrice afroamericana della quale il Pabuda deve essersi innamorato…)

IL DISAPPUNTO

August 7th, 2016 by Pabuda

 

(da: Un Mese al Balcone / 01) Howardena Pindell - Artemis 1986
Si comincia: alla grande: un veicolo piccoletto e panciuto ma piuttosto interessante dell’azienda della nettezza urbana si ferma proprio sotto al mio balcone: sta dall’altro lato della strada: per mostrarsi meglio, penso: lui e tutto lo show: è grigio argentato (o del colore d’un pentolino d’alluminio) ma è dotato d’una specie di proboscide posteriore in tinta blu elettrico che un aggeggio apposito – vagamente somigliante a un’antenna semovente o a quel cosino che avevano le vecchie macchine da cucire per accompagnare il filo nel buchetto giusto – aiuta il tubo di plastica blu a fuoriuscire dal corpo del piccolo pachiderma metallico, ad allungarsi, a spostarsi verso il tombino, dove rimane per un attimo penzolante. C’è bisogno dell’aiuto d’un uomo o due per scoperchiare con delicatezza il tombino e facilitare l’intrusione del tubo blu nel condotto fognario che si presume stia nascosto sotto il manto stradale, a ridosso del marciapiede. Nessuno fornisce spiegazioni al pubblico, o uno straccio di programma, riguardo allo spettacolo avvincente messo in scena dai netturbini col loro simpatico veicolo proboscidato che sembra un giocattolone in robusta plastica, adatto anche ai bambini più tonti, irrequieti ed esigenti (quelli che, quando io andavo alle elementari, stavano segregati nella “classe differenziale”, per intenderci). Sicché, dal balcone si tira a indovinare – sulla base di pochi e vaghi indizi. Ciononostante, siamo sicuri: stanno cercando d’avvicinarsi alla tubatura delle acque bianche per dare una bella stappatina: coi recenti ventosi e violenti temporali fuori stagione, insieme all’acqua piovana, lì sotto si devono essere ficcati mucchi di foglie prematuramente cadute dai platani, col rischio di ingorgare tutto e bloccare il regolare deflusso verso chissà dove dei liquidi della fogna bianca. Quando si opera nel campo delle osservazioni dal balcone si è costretti a fare un sacco di ipotesi, congetture e supposizioni. Non è male: un ottimo stimolo, semmai, per il cervello impigrito e la fantasia un po’ fiacca. Però, poi, per forza di cose mi tocca abbandonare il posto d’osservazione, la prima fila sopraelevata: devo andare a pisciare. Quando torno non c’è più traccia del veicolo e degli esperti operatori. La piazza e la strada e il marciapiede son regrediti allo stato desertico precedente. Non mi resta che gridare a pieni polmoni il mio disappunto al vuoto: ehi, mascalzoni: è già tutto finito!?!

(L’immagine è tratta da un quadro di Howardena Pindell, battagliera pittrice e artista visiva afroamericana)

C’E’ BILLIE AL TELEFONO!

August 4th, 2016 by Pabuda

C'E' BILLIE AL TELEFONO