UN ATTO DI GUERRA CONTRO IL FASCISMO

I migliori storici dei Lager sono dunque emersi fra i pochissimi che hanno avuto l’abilità e la fortuna di raggiungere un osservatorio privilegiato senza piegarsi a compromessi, e la capacità di raccontare quanto hanno visto, sofferto e fatto con l’umiltà del buon cronista, ossia tenendo conto della complessità del   signorelli_dannati_all_infernofenomeno Lager, e della varietà dei destini umani che vi si svolgevano. Era nella logica delle cose che questi storici fossero quasi tutti prigionieri politici: e ciò perché i Lager erano un fenomeno politico; perché i politici, molto più degli ebrei e dei criminali (erano queste, come è noto, le tre categorie principali di prigionieri), potevano disporre di uno sfondo culturale che consentiva loro di interpretare i fatti a cui assistevano; perché, proprio in quanto ex combattenti, o tuttora combattenti antifascisti, si rendevano conto che una testimonianza era un atto di guerra contro il fascismo; perché avevano più facile accesso ai dati statistici; ed infine, perché spesso, oltre a rivestire in Lager cariche importanti, erano membri delle organizzazioni segrete di difesa. Almeno negli ultimi anni, le loro condizioni di vita erano tollerabili, tanto da permettere loro, ad esempio, di scrivere e conservare appunti; cosa che per gli ebrei non era pensabile, e che i criminali non avevano interesse a fare.

(da: Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi 1986, pag. 9)

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