TROVAR POSTO

Che cos’è una “situazione di massa”? Semplificando al massimo, si può dire che essa è una situazione sociale in cui l’esperienza della necessità collettiva è molto forte.  Prima di addentrarsi nelle sue analisi, Ortega y Gasset, per situare   SPAZIO

il fenomeno della “massa”, attira l’attenzione del lettore su quella che egli chiama una “esperienza visiva”: “il fatto dell’agglomerazione, del pieno”. Il quale fatto egli descrive così: “Le città sono piene di abitanti, le case piene di inquilini, gli alberghi pieni di ospiti, i caffè pieni di clienti, i parchi pieni di gente che passeggia, i gabinetti dei medici famosi pieni di malati, i teatri pieni di spettatori e le spiagge piene di bagnanti”. “Trovar posto, che in passato, generalmente, non era un problema, oggi comincia a essere un problema quotidiano” osserva a questo punto il filosofo, per poi addentrarsi nelle sue brillanti analisi culturali. Se si fosse soffermato su quest’esperienza dell’agglomerazione, della calca, del non trovar posto, egli ci avrebbe forse condotto a penetrare più in fondo nella realtà della “situazione di massa”. A prenderla così come egli la indica, massimamente semplice e banale, questa esperienza, per cominciare, non è puramente “visiva”: è già morale. Essa ci significa il modo essenziale in cui l’individuo entra in contatto con la vita degli altri: di tutti, oggi. Basta considerarla come un fatto di coscienza, nel vivo di una coscienza individuale, anziché come un fatto esteriore, perchè ciò sia chiaro. Non trovar posto, infatti, appare a prima vista un’esperienza angosciosa. Vuol dire subito sentirsi esclusi, o almeno rischiare di esserlo: gli altri sono già lì, occupano tutto, o quasi tutto, lo spazio disponibile. Per trovar posto, occorre uno sforzo: bisogna farsi posto, lottare non già per la vita in genere o contro una difficoltà naturale, ma per uno scopo mirabilmente infimo, che è occupare il poco spazio che ci è necessario; che in certo modo ci appartiene, visto che noi siamo lì allo stesso titolo degli altri; ma che nessuno ci garantisce, anzi, in apparenza, la semplice presenza degli altri in folla ci vieta, ostruendolo.

E gli altri sono lì allo stesso titolo di noi, anche questo è chiaro. Questa esperienza non riguarda soltanto certe occasioni intermittenti e rare: essa si ripete regolarmente, in miriadi di occasioni, di fatto ogni qualvolta, invece di rimanere nella cerchia dei rapporti privati, da individuo a individuo, noi entriamo in contatto con l’esistenza collettiva. È un’esperienza assolutamente caratteristica ed elementare, più elementare delle occasioni stesse in cui la subiamo (lavoro, necessità materiali, rapporti con i meccanismi burocratici, partecipazione alla vita politica, divertimenti), dato che si ripete sostanzialmente identica in ciascuna di esse.  Né è questo un fatto puramente fisico (e tanto meno puramente “visivo”) riguardante lo spazio e le necessità materiali. Basta enunciare la frase: “trovar posto diventa un problema” per avvedersi che ciò implica una situazione morale, e precisamente una situazione di ostilità preliminare verso gli altri, quelli che occupano lo spazio e minacciano di non lasciarcene neppure il minimo indispensabile. Tale ostilità, d’altra parte, è subito contraddetta dal fatto evidente che gli altri non sono lì per impedire a noi di starci, ma per cercare quel che noi cerchiamo, egualmente inceppati e impediti dalla calca di tutti. L’ostilità, dunque, non ha ragion d’essere, né diritto di manifestarsi.

(da: Nicola Chiaromonte,  La situazione di massa e i valori nobili, in Tempo Presente n. 1, aprile 1956, pagg. 7-8)

Leave a Reply