SULLA RIVOLTA DI LOS ANGELES (1992)

Gli avvenimenti accaduti a Los Angeles nell’aprile 1992 non furono né una sommossa razziale né una rivolta di classe. Quell’enorme sollevazione fu piuttosto una manifestazione multirazziale, interclassista e in larga misura maschile, di una rabbia sociale giustificata. Con tutto il suo risentimento, crudele e HAITI'S PROFOUND SORROWxenofobo, la sua aria carnevalesca e adolescenziale e i tratti di aperta barbarie che la contraddistinsero, essa fu l’espressione del senso di impotenza che ha colto la società americana. I facili tentativi di ridurne la portata e il senso alle patologie del sottoproletariato nero, all’azione criminale di teppisti e delinquenti, o la rivolta politica di masse urbane oppresse non colgono nel segno. Degli arrestati, solo il 36 per cento era nero, più di un terzo era costituito da individui con un lavoro sicuro e la maggior parte si dichiarava estranea a ogni schieramento politico. Con i fatti di Los Angeles abbiamo assistito alle conseguenze di una letale combinazione di declino economico, decadenza culturale e immobilismo politico nella vita americana. La razza costituì il catalizzatore manifesto, non la causa determinante.
Il significato degli sconvolgenti disordini di Los Angeles riesce difficile da cogliere perché molti di noi restano prigionieri del quadro di riferimento riduttivo offerto dalla posizione che sul problema della razza negli Stati Uniti hanno assunto sia il pensiero liberal sia quello conservatore; con il loro lessico ristretto e limitato, entrambi infatti ci rendono intellettualmente debilitati, moralmente impotenti e personalmente depressi. La sorprendente scomparsa dell’episodio dalla scena delle discussioni pubbliche mostra chiaramente quanto doloroso e perturbante sia un serio impegno sul problema della razza. Il pubblico dibattito sulla razza, nella sua incompiutezza, cancella la parte migliore di chi e cosa veramente siamo come popolo, perché non riesce ad affrontare la complessità del problema in modo aperto e criticamente costruttivo. Lo scontro del tutto prevedibile tra liberal e conservatori, tra democratici fautori della Great Society johnsoniana e repubblicani sostenitori del selph-help, del contare sulle proprie forze, rafforza soltanto il settarismo intellettuale e la paralisi politica.  RIVOLA LOS ANGELES - AUTO DISTRUTTA E SBIRRI
L’idea liberal che un programma di maggior intervento da parte del governo federale possa risolvere i problemi razziali è semplicistica nella misura in cui si concentra unicamente sulla dimensione economica. Per parte sua, la concezione conservatrice, secondo la quale ciò che veramente occorre è una trasformazione del comportamento morale dei neri poveri che vivono nelle città (particolarmente dei maschi che, si dice, dovrebbero accettare pienamente la condizione matrimoniale, mantenere i loro figli e smetterla di commettere tanti reati), insiste sulle azioni immorali ma nel contempo ignora le responsabilità pubbliche che hanno contribuito a creare le circostanze immorali che pesano sui nostri concittadini. Il denominatore comune di queste concezioni della razza è dato dal fatto che entrambe continuano a vedere i neri come “gente che pone problemi”, secondo l’espressione di Dorothy I. Height, presidente del National Council of Negro Women, e non come americani e concittadini che hanno problemi.

(da: Cornel West, La razza conta, Feltrinelli, pag. 21-23)

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