IN DUE, IN TRE

Incrocio sotto casa due ragazzi, sui vent’anni: trasportano una grossa borsa pesante: sembra contenere qualcosa con degli spigoli. ciascuno dei due tiene una maniglia e tira un po’ dalla sua parte: sicché il borsone vola e non cade. Mi guardano un attimo, senza rallentare. Io faccio a loro la medesima cosa: mi piace dividano così equamente la fatica ma anch’io li guardo solo un attimo, colla coda dell’occhio e – senza volerlo – coll’orecchio sinistro. Alla fine di quell’attimo non guardano me: si guardano tra loro sorridendo cogli occhi ma pure un po’ con la bocca. Uno dice qualche parola all’altro, senza smettere di sorridergli: non capisco la loro lingua africana quindi rimango in dubbio tra due ipotesi: o stanno portando a casa un aggeggio nuovo e son contenti perché ci starà bene e là dentro proprio mancava o stanno portando via un vecchio aggeggio e proveranno a venderlo per tirarci su qualche euro. E son contenti perché son sicuri di farcela e perché di quel coso non sapevano proprio più che farsene. Mentre infilo la chiave nella serratura del portone son contento: so che appena entrerò in casa troverò una sedia, un tavolo, della carta e una penna per scrivere alla svelta di quest’incontro: per non dimenticarmelo. Di modo che, scrivendolo, finalmente risulterà chiaro perché oggi siamo contenti almeno in tre.

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