IL SANTONE

passo di corsa –
perché guizza
come un luccio
nel traffico
il mio autista –
così lo vedo appena
colla coda dell’occhio,
soltanto di sfuggita.
ma fa lo stesso: è lui:
il santone delle rive del Gange:
il saggio ricurvo che non ride
e che non piange
(ma quando ci vuole smoccola):
scurissimo di pelle, forse per l’origine
o forse per lo sporco
che a non tirarlo via
s’accumula e annerisce l’immagine.
è barbuto sale e pepe
ma semplicemente per l’età.
si muove colla stampella –
più che un sostegno:
un simulacro di nobiltà –
è nel parcheggio, una stramberia:
parcheggio in mezzo alla via
colle macchine a spina ti pesce
o come sia,
sotto gli alberi fitti di foglioline,
infiorescenze
e il primo polline di stagione:
il molto saggio sta ficcando
un giallo borsone
in una centoventisette familiare
abbastanza arrugginita
(ammesso che un’auto
simile sia mai esistita).
non faccio in tempo a vedere
se al posto di guida si mette a sedere
e se fa quel gesto tipico, ben coordinato,
dell’automobilista in partenza
con la mano sinistra sul volante,
il braccio destro quasi sulle spalle
d’un inesistente passeggero,
il collo ritorto
e gli occhi fuori dalla testa
a indovinare il momento buono
per ingranare la retromarcia
e tentare d’immettersi nel flusso
dei veicoli sul controviale
senza troppi danni
arrecare o subire.
ma penso di no: il santone
è a casa:
tirerà giù il sedile
e proverà a dormire.
per sua consolazione
l’inverno è finito
e nessuno domattina
dovrebbe trovarlo stecchito.UN SANTONE PER IL SANTONE

 

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