DA CERCARE IN BIBLIOTECA…

Chi ha avuto l’occasione di confrontare l’immagine reale di uno scrittore con quella che si può desumere dai suoi scritti, sa quanto sia frequente il caso che esse non coincidano. Il delicato indagatore di stati d’animo, vibratile come un circuito oscillante, si rivela un tanghero borioso, morbosamente pieno di sé, avido di denaro e di adulazioni, cieco alle sofferenze del prossimo; il poeta orgiastico e suntuoso, in comunicazione panica con l’universo, è un omino astinente e astemio, non per scelta etica ma per prescrizione medica.      SFUGGITO ALLE RETI DEL NAZISMO COVER

Ma quanto è gradevole, invece, parificante, rasserenante, il caso inverso, dell’uomo che si conserva uguale a se stesso attraverso quello che scrive! Anche se non è geniale, a lui va immediatamente la nostra simpatia: qui non c’è più finzione né trasfigurazione, non muse né salti quantici, la maschera è il volto, e al lettore sembra di guardare dall’alto un’acqua chiara e distinguere la ghiaia variopinta del fondo. Ho provato questa impressione leggendo, diversi anni fa, il manoscritto tedesco di un’autobiografia che è poi comparsa anche in italiano, nel 1973, col titolo Sfuggito alle reti del nazismo; l’editore è Mursia, l’utore si chiama Joel König, e non a caso il primo capitolo si intitola Stanco di travestimenti. König non è uno scrittore di professione: è un biologo, ed ha preso la penna solo perché gli sembrava che la sua storia fosse troppo singolare per non essere raccontata.

 (da: Primo Levi, Stanco di finzioni, in Tutti i racconti vol. II, Einaudi, pag. 51)

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