Così, tanto per rimanere nei limiti dell’ovvio, è naturale e inevitabile che, nella calca di un mezzo di trasporto metropolitano, ognuno soffra per la sua parte di angustia; ma nessuno, tranne forse i tecnici specialisti, può dire se ciò sia inevitabile in senso assoluto, ossia “giusto”: se veramente non si possa far di meglio. Anzi, trattandosi di condizioni materiali, il “meglio” apparirà sempre possibile; ma anche dubbio, giacché il modo di ottenerlo, questo “meglio”, rimane oscuro. Nell’esperienza immediata e quotidiana, la situazione di massa si presenta come un fatto compiuto di cui è inutile indagare le ragioni: non è né giusta, né ingiusta; è un fatto, e basta. Le modalità dipendono, certo, dalla maggiore o minore perizia e buon volere di chi dirige; ma la necessità prima è insita nella forma che ha preso e prende la vita collettiva. Vivere in una società di massa significa compiere automaticamente, e per la maggior parte del tempo, degli atti non liberi, facendo quel che si fa non perchè sia naturale, e neppure perchè lo si ritenga positivamente utile, ma piuttosto per evitare le complicazioni e i mali che verrebbero (a sé e agli altri), dall’agire diversamente.
(da: Nicola Chiaromonte, La situazione di massa e i valori nobili, in Tempo Presente n. 1, aprile 1956, pagg. 2-15)