UNA GIORNATA “IN”

lo so: esistono
svariate terapie  mutande
per contrastare
i più fastidiosi sintomi
di questa malattia…
ne ho provate tre o quattro,
poi altre: davvero tante:
niente da fare:
la più efficace rimane
una bella giornata
in mutande.
non vuol dire far niente:
in mutande
si può fare un sacco
di cose interessanti.
quindi – per mia scelta –
escludo:
lo shopping, la messa,
l’ufficio,
la riunione del collettivo,
la coda in questura
per il rinnovo del passaporto,
il concerto in teatro
con aperitivo,
il vernissage dell’ultima
propria mostra personale
di discutibili collage,
il reading di fronte
ai soliti adorabili
quattro gatti,
la partecipazione
a qualche interminabile
corteo
sotto il sole cocente,
la ricerca degli ultimi arrivi
al mercatino dei filatelici
e il rifornimento di giornali
e gadget in edicola.
mi rimangono un’infinità
d’altre cose per rimanere
a galla,
in mutande:
scrivere ‘sta belinata –
come ne ho scritte
tante altre,
con addosso i vestiti
o senza –,
riordinare i ritagli gialli,
i blu, gli amaranto,
gli azzurri e i marroni
ascoltando Miles o Monk
oppure l’Orazio Silver,
gli Skatalites, Bob il Cantante
o Burning Spear,
Linton Kwesi Johnson,
i Klezmatics
o i Dexis Midnight Runners:
l’importante è ascoltarli
a palla.
se sono in vena, posso
pure cominciare a scrivere
il capitolo intitolato
“l’appartamento”
di quel complicato romanzo
che ho immaginato
far ruotare attorno alle sfighe
d’un minatore romeno
della Valle dello Jiu.
tutto fuorché noia
o lavoro salariato,
e con delle belle mutande
a far da
mute testimoni.

 

(l’immagine accostata a illustrare la giornata è “Mutande” di Antonio Recalcati, che il Pabuda ha visto in una mostra chissà dove chissà quando e che ama tanto)

Tags: , , , , , , , , , , , , ,

Leave a Reply