UN BUFFO PASSEROTTO (È IL PROLOGO)

La primavera era nell’aria. Una vibrazione, un’esalazione, un impalpabile stato d’animo. Gli otto tigli tagliati a spazzola fronteggiavano i ventun soldatini del contingente. Arma al piede, acidità  di stomaco, i marmittoni aspettavano il capitano.    Jean-Vautrin_con-coppola

Un buffo passerotto si posò sull’asfalto. Cominciò, con saltelli calmi da vecchio abitudinario, a risalire le tracce lasciate da una ramazza, fino al mucchio di polvere riunito dietro un tronco d’albero. A un tratto, l’occhio del sergente raggiunse il pennuto sulla piramide d’immondizia. Il militare si spinse pensoso il berretto sulla fronte che sparì del tutto. Si girò brusco voltando le spalle agli uomini. Ci sono vari modi di essere stronzi. Il sergente Reig Maxence era stronzo per formazione. Era un duro, e orgoglioso di esserlo. Cresciuto in un istituto militare, arruolato volontario, rimasto senza madre da piccolo, di padre ignoto, aveva ventidue anni.

– At-tenti! sbraitò senza girarsi. Il rumore dei tacchi che sbattevano gli procurava di piacere.

E i suoi ordini arrivarono fino al muro dei cessi. Vi snidarono due soldati in tuta mimetica che ne uscirono riassettandosi. Mentalmente, il sergente Reig mise un nome su tanta trasandatezza, mentre quelli si allontanavano con il passo pesante degli uomini di corvée. Li avrebbe aspettati al varco, senza fretta.

La primavera era nell’aria. Una fatalità , una spossatezza, un’indolenza.

- Chi è quel figlio di puttana che era di corvée per primo? – disse girandosi in un sorriso striminzito.

- Allora, chi? – chiese guardando il passerotto.

- Io, sergente – confessò una voce dalla seconda fila.

- Io chi?

- Io, Laugelli – rispose il marmittone alzando la mano

- Laugelli! – esclamò il sergente Reig. – che razza di nome! Per quanto tempo ti ha covato tua madre?

E aspettò. Aspettò per vedere se quello stronzo in tuta mimetica avrebbe riso della sua battuta. Gli avrebbe fatto fare una bella marcia notturna. Tanto per.

Gli piaceva vederli tornare con i piedi gonfi. Aspettò a lungo. Guardavano avanti, i soldatini, rigidi, piombati. Ognuno per sé. Stufi di tutto. Delle stronzate, delle angherie. Stufi di cagare a comando. Di fare flessioni, di rifare lo zaino. Stufi.

Stufi, Reig.

- Laugelli! – ripeté il sergente della colonia. E cercò il passero con lo sguardo. Quest’ultimo saltò giù dal mucchio di polvere, mollò uno schizzo di cacca bianca sull’asfalto, piegò il capo di lato e orientò verso l’alto l’occhietto acuto. Il sergente seguì la direzione indicata dal pennuto. Trovò il cielo azzurro, il cielo vuoto, niente da vedere, niente, a parte una nuvola bianca, una nuvola piuttosto lanosa che risaliva verso nord.

Un sergente è troppo stronzo per vedere passare le mosche. Reig si mosse. Fece ai soldati il numero della camminata molleggiata. Strada facendo si tolse l’orologio da sub, poi attraversò la prima fila e risalì lentamente la seconda, fissando ciascuno di loro mentre passava. Facce di cazzo. Magri. Figli di papà. Uno o due proletari. Ragazzi che si era preso cura di distruggere in due mesi di addestramento. Bel lavoro, Reig. Ragazzi della tua età. Bel lavoro! Le angherie, senza dubbio, provocano sguardi, creano legami, odio. Reig si fermò davanti a Grandvallet.

Grandvallet, un balordo della periferia nord, con l’aria cocciuta. Uno che lo aveva ammazzato cento volte con gli occhi. Di quello, sapeva il nome. Un capellone fetente, quando era arrivato. Con idee su tutto. Abbassa gli occhi, carogna! Disse Reig dentro di sé. Abbassali o ti taglio le palle!

- Grandvallet! – articolò. – Riposo! L’altro eseguì, ben rodato.

- Reggimi questo un secondo, – disse il sergente – mentre vado dal tuo compagno…

Gli tese il cronometro e si diresse verso il summenzionato Laugelli. Era un tizio alto e magro. Benché capo e tutto quanto, il sergente gli arrivava alla spalla. Non di più. Il sottufficiale osservò per un po’ il pomo d’Adamo particolarmente sporgente del soldato e si sollevò sulla punta dei piedi.

Grandvallet guardava la lancetta dei secondi dell’orologio di Reig. Decisamente, aveva voglia di farlo cadere. Anzi gli sarebbe piaciuto schiacciarlo con il calcio del suo MAS 49.

- Riposo! – Attenti! – Riposo!  ricominciò subito.

..

(da: Jean Vautrin, Bloody Mary, Meridiano Zero edizioni, pagg. 9-11). Nella foto: l’Autore

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