NOI BUCHIAMO

stavo zoppicando

a velocità sostenuta

sul solito marciapiede

che mi conduce

al solito posto

di lavoro

malamente salariato,

quando

m’imbatto in certi

nuovi ostacoli

frapposti nottetempo:

sbirciando oltre

le transenne disposte

a proteggere

dai miei passi gommati

(che controsenso!)

porzioni incomprensibili

d’asfalto malandato

scorgo e ammiro

a bocca spalancata

dei bei macchinari

piccoli, un po’ zozzi

ma superdotati

d’aggeggi minacciosi

iper-dentati

pronti, da un momento

all’altro,

ad azzannare o grattugiare

o ridurre in briciole

il manto grigio e nero

e bluastro

di quell’asfalto

irregolarmente ondulato.

guardo meglio

e individuo degli individui,

anzi, no:

dei fratelli in canottiera,

degli uomini irsuti

che dimostrano possedere

una speciale confidenza

con quei macchinari parcheggiati.

qualcosa suggerisce
che in men che non si dica

passeranno all’azione:

faranno fatica rumore polvere e distruzione.

io, prima che scoppi il finimondo,

m’avvicino a un terzetto inoperoso

di loro

e, con lo sguardo rivolto al più peloso,

chiedo, curioso

ma con tono vagamente complice:

cosa fate di bello?

… che c’è da metterci sotto

questo stanco marciapiede?

quasi in coro mi rispondono:

boh, noi buchiamo…

poi passa un’altra ditta (di tubi)

a ficcarci il ripieno.

il tipo irsutissimo,

interpretando correttamente

la mia delusione

dinanzi alla vaghezza di tale

informazione,

allarga le braccia in un gesto

che dice più di mille parole:

se ben osservato, il suo gesto dice:

eh, amico… è la solita

vecchia storia della separazione

tra tecnica e sudore

tra prodotto e produttore,

tra lavoro e lavoratore

tra compagno e collega,

tra problema e soluzione:

in una parola

è la solita vecchia merda

dell’alienazione!

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