LA SCENOGRAFIA E LA LUCINA

Gli Stati Uniti crearono un’elaborata scenografia per fare da sfondo al terrore in Vietnam, e il terrorismo divenne la forma quotidiana della guerra. Quando una giuria militare composta da veterani condannò il tenente William L. Calley jr. per tre capi d’accusa di omicidio premeditato e uno di aggressione finalizzata all’omicidio, per il ruolo svolto nel massacro di My Lai, si accese una piccola luce che splendette nel ventre torbido del terrorismo americano. Ma il momento passò e la lucina fu spenta.  Newsweek WILLIAM L CALLEY JR
“Rusty” Calley era il comandante del primo plotone Charlie Company, assegnato alla provincia di Quang Ngai, zona che i militari americani denominarono “Pinkville”. Il suo nome per i soldati era “Territorio Indiano”, trattandosi di un territorio ostile controllato dal Fronte di Liberazione Nazionale. Tra il 1965 e il 1967 furono sganciate decine di migliaia di tonnellate di bombe e napalm nella provincia nord-orientale di Quang Ngai. L’artiglieria aveva sparato a casaccio e gli aerei in sovraccarico di bombe spesso scaricavano il fardello proprio lì. Le forze armate statunitensi avevano distrutto il 70 per cento delle abitazioni e fatto sfollare circa 150 mila civili. Calley dichiarò a un reporter: “Là erano tutti Vietcong. Gli anziani, le donne, i bambini, i neonati erano tutti Vietcong o lo sarebbero diventati nel giro di tre anni. E dentro le Vietcong, suppongo che adesso ci siano mille piccoli Vietcong”. Ecco la giustificazione del terrore.
Le missioni statunitensi “Cerca e Distruggi” ne Quang Gai furono spaventose, difficili e mortali. I soldati americani venivano uccisi da cecchini, mine, trappole esplosive, e non riuscivano in alcun modo a impegnare il nemico in battaglie aperte. I soldati, colti dalla frustrazione, cominciarono a pestare i civili, a torturare e uccidere i prigionieri, a stuprare gli abitanti dei villaggi. Alcune unità istituirono le “Zippo Squad”, che avevano il compito di appiccare il fuoco ai villaggi dopo ogni operazione.
(da: Bill Ayers, Fugitive Days, DeriveApprodi, pag. 299)

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