JETZT HAUEN WIR AB
Ad Auschwitz «mangiare» si rendeva con fressen, verbo che in buon tedesco si applica soltanto agli animali. Per «vàttene» si usava l’espressione hau’ ab, imperativo del verbo abhauen; questo, in buona lingua, significa “tagliare, mozzare”, ma nel gergo del Lager equivaleva a «andare all’inferno, levarsi di torno». Mi è accaduto una volta di usare in buona fede questa espressione (Jetzt hauen wir ab) poco dopo la fine della guerra, per prendere congedo da alcuni educati funzionari della Bayer dopo un colloquio d’affari. Era come se avessi detto «ora ci togliamo dai piedi». Mi guardarono stupiti: il termine apparteneva ad un registro linguistico diverso da quello in cui si era svolta la conversazione precedente, e non viene certo insegnato nei corsi scolastici di «lingua straniera». Spiegai loro che non avevo imparato il tedesco a scuola, bensì in un Lager di nome Auschwitz; ne nacque un certo imbarazzo, ma, essendo io in veste di compratore, continuarono a trattarmi con cortesia. Mi sono reso conto in seguito che anche la mia pronuncia è rozza, ma deliberatamente non ho cercato di ingentilirla; per lo stesso motivo non mi sono mai fatto asportare il tatuaggio dal braccio sinistro.
(da: Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi 1986, pagg. 77-78)
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