IN DEROGA ALLE REGOLE DI PUREZZA

(…) mi pare evidente che sotto molti dei suoi aspetti più penosi ed assurdi il mondo concentrazionario non era che una versione, un adattamento della prassi militare tedesca. L’esercito dei prigionieri nei Lager doveva essere una copia ingloriosa dell’esercito propriamente detto: o per meglio dire, una sua caricatura. Un esercito ha una divisa: pulita, onorata e coperta di insegne quella del soldato, lurida muta e grigia   camp-orchestra-2quella del Häftling; ma tutte e due devono avere cinque bottoni, altrimenti sono guai. Un esercito sfila al passo militare, in ordine chiuso, al suono di una banda: perciò ci dev’essere una banda anche nel Lager, e la sfilata dev’essere una sfilata a regola d’arte, con l’attenti a sinistr davanti al palco delle autorità, a suon di musica. Questo cerimoniale è talmente necessario, talmente ovvio, da prevalere addirittura sulla legislazione antiebraica del Terzo Reich: con sofisticheria paranoica, essa vietava alle orchestre ed ai musicisti ebrei di suonare spartiti di autori ariani, perché questi ne sarebbero stati contaminati. Ma nei Lager di ebrei non c’erano musicanti ariani, né del resto esistono molte marce militari scritte da compositori ebrei; perciò, in deroga alle regole di purezza, Auschwitz era l’unico luogo tedesco in cui musicanti ebrei potessero, anzi dovessero, suonare musica ariana: necessità non ha legge.

(da: Primo Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi 1986, pagg. 92-93)

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