GRADUALMENTE

forse in misura che può sorprendere, per un filologo di professione, non si pone, nella narrazione della tragedia, domande che possano far intravedere una o più ragioni, una teoria della distruzione della lingua: Klemperer si limita ad annotare, con un rancore che sa inerme, i fatti, il procedere dell’orda contro la lingua che è o era la sua, la lingua di un   Victor_Klempererliberale tedesco ebreo del ventesimo secolo. Ed è giusto forse riconoscere che Klemperer, anche se non sembra prenderne atto, gradualmente si identifica con la propria lingua: è lui ad essere attaccato, travolto, deportato altrove dal suo linguaggio, costretto ad espressioni non sue per poter comunicare con gli altri. Troverà, per questo, una straordinaria espressione di Rosenzweig, che premetterà come epigrafe alla edizione della sua Lingua Tertii Imperii, che uscirà, a guerra finita, lui vivente, unico risultato pubblico del suo diario: la lingua è più del sangue.

(da: Michele Ranchetti, Prefazione a Victor Klemperer, LTI La lingua del Terzo Reich – taccuino di un filologo, Giuntina  2017, quinta edizione, pag. 10)

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