ATTACCO FRONTALE

Ai giorni nostri, una delle più efficaci strategie per tenere a bada la minaccia del nichilismo è data Cornel West sorridente a coloridall’attacco frontale e diretto al senso di autodenigrazione e disprezzo di sé diffuso tra i neri. Questa paura, questa Angst assume l’aspetto di una depressione clinica collettiva in ampi settori dell’America nera. La crisi della speranza e il crescere dell’insensatezza tra molti neri sono legati alle dinamiche strutturali delle istituzioni che dominano i mercati in tutti gli Stati Uniti. Date queste circostanze, l’Angst esistenziale dei neri deriva dall’esperienza vissuta di una ferita ontologica e di una sofferenza emotiva inflitta dall’ideologia e dall’immaginario della supremazia bianca. Questa ideologia e questo immaginario attaccano giorno per giorno l’intelligenza nera, le capacità dei neri, la loro bellezza e il loro carattere in modi sottili e meno sottili. Il romanzo di Troni Morrison Occhi azzurri, per esempio, mostra gli effetti devastanti degli onnipresenti ideali di bellezza europei sull’immagine di sé che si formano le giovani nere. I temi considerati dalla Morrison, che mostrano quanti guasti gli ideali bianchi abbiano prodotto sull’autostima dei neri, costituiscono un primo passo e un primo contributo alla ripulsa di tali ideali e al superamento del nichilistico disprezzo di sé che essi hanno prodotto tra i neri.

L’effetto congiunto delle offese e delle sofferenze vissute dai neri in una società dominata dai bianchi è un profondo senso di rabbia, di ira furiosa, unito a un forte pessimismo per ciò che riguarda la volontà da parte dell’America di ristabilire la giustizia. In condizioni di schiavitù e di segregazione (quella segregazione che il personaggio Jim Crow, stereotipo del negro conciliante e sottomesso, ha portato sulle scene americane nel secolo scorso) questa rabbia, questa furia e questo pessimismo avevano trovato scarsa espressione per il timore giustificato di incorrere in una rappresaglia brutale da parte dei bianchi. Purtroppo, il combinarsi di un modello di vita mercantilistico, di condizioni di indigenza, dell’Angst esistenziale nera e del venir meno della paura di fronte all’autorità bianca ha convogliato la maggior parte della rabbia, dell’ira e della disperazione verso i concittadini neri, in particolare verso le donne, il bersaglio più vulnerabile nella nostra società in genere e nelle comunità nere in particolare. Solo di recente questa minaccia nichilistica – con i suoi modi di pensiero e di comportamento disumani – è venuta alla luce nella società americana nel suo complesso, e la sua apparizione rappresenta sicuramente uno dei molti esempi della decadenza culturale di un impero in declino.

Che fare contro la minaccia nichilista? C’è ancora qualche speranza, nonostante la frantumazione della nostra società civile, l’azione delle corporation avide di profitti e la supremazia bianca? Se si parte dalla minaccia del nichilismo concreto, si deve parlare di una politica di conversione, che dovrà essere promossa in qualche modo da nuovi modelli di una leadership collettiva nera.

Come l’alcolismo e la tossicodipendenza, il nichilismo è una malattia dell’anima. Non può mai essere curato sino in fondo, e rimangono sempre possibilità di ricadute. Ma rimane anche sempre una possibilità di conversione – una possibilità di credere che ci sia una speranza per il futuro e un significato per cui battersi. Tale possibilità non si fonda né su un accordo su ciò che la giustizia è né su un’analisi dei modi in cui il razzismo, il sessismo o la subordinazione di classe operano. Discussioni e analisi sono indispensabili, ma una politica di conversione richiede qualcosa di più. Il nichilismo non può essere vinto con discussioni e analisi, ma con l’amore e con l’affetto.

Tutte le malattie dell’anima possono essere guarite solo attraverso una trasformazione dell’anima stessa, cioè attraverso una nuova valorizzazione dell’individuo, una valorizzazione che si nutre dell’attenzione per gli altri. Il cuore di una politica di conversione non può che essere costituito da un’etica d’amore.

Un’etica d’amore non ha niente a che vedere con il sentimentalismo o con legami tribali. Essa consiste piuttosto in un estremo tentativo di suscitare un senso di attività e partecipazione in individui sottomessi. L’esempio migliore di un’etica di questo tipo, illustrata a più livelli, è data dal grande romanzo di Toni Morrison Amatissima. L’amore di sé e l’amore per gli altri sono due modi di accrescere la stima di sé e di incoraggiare la resistenza politica nell’ambito della propria comunità. Questi modi di valorizzazione e di resistenza affondano le loro radici in una memoria sovversiva – la parte migliore del nostro passato, ma senza nostalgie romantiche – e sono sostenuti da un’etica di amore universale. Nell’ambito che qui ci interessa, Amatissima può essere visto come il congiungersi di un’affermazione d’affetto non acritica per l’umanità nera, quale si riscontra nella parte migliore dei movimenti nazionalisti neri, dell’inestinguibile speranza in una coalizione trans-razziale propria dei movimenti progressisti, infine della lotta sofferta per una salutare autoaffermazione all’interno di una storia nella quale la minaccia nichilistica sembra insormontabile.

La politica della conversione è attiva soprattutto a livello locale – in quelle istituzioni della società civile ancora tanto vitali da promuovere la valorizzazione e l’affermazione di sé – e si mette in luce a livello regionale e nazionale solo quando le organizzazioni democratiche e popolari riescono a esprimere una leadership collettiva capace non solo di guadagnarsi il rispetto e l’amore dei membri di queste organizzazioni ma anche di dimostrarsi pienamente responsabile. Questa leadership collettiva dovrà essere un modello di integrità morale, di fermezza di carattere e di senso democratico dello stato, sia in sé sia all’interno delle organizzazioni che essa saprà darsi.

Al pari degli strutturalisti liberal, i fautori di una politica di conversione non perdono mai di vista le condizioni strutturali che plasmano le sofferenze e la vita degli individui. Contrariamente a essi, tuttavia, la politica della conversione affronta la minaccia nichilistica a tutti i livelli.

Come i comportamentisti conservatori, la politica della conversione si oppone a viso aperto alle azioni autodistruttive e disumane dei neri. Contrariamente a essi, tale politica tuttavia inscrive queste azioni in un quadro di circostanze disumane (senza con questo giustificarle).

La politica della conversione evita ogni forma di protagonismo –che tanto attrae gli arrivisti e gli egocentrici. Piuttosto, essa rimane con i piedi ben piantati per terra, vicina alla gente che lavora per il pane quotidiano, formando nell’umiltà i combattenti per la libertà – i leader come i semplici militanti – che avranno il coraggio di affrontare apertamente la minaccia nichilistica e di respingerne le micidiali aggressioni.

(da: Cornel West, La razza conta, Feltrinelli 1995, pagg. 40-43)

Al link qui di seguito c’è un video di una conferenza di Cornel West (molto più recente dell’epoca in cui scrisse Race matters e che riflette alcuni temi affrontati in uno dei suoi ultimi lavori: Black Prophetic Fire):

https://www.youtube.com/watch?v=5LhmQ-DwLTU

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